Era il 1996 quando la Capcom diede vita ad una serie di videogame che avrebbe scritto la storia. Un survival horror che ha accompagnato molte generazioni di videogiocatori (o gamer, che dir si voglia) e che è cresciuto insieme a loro, fino ad arrivare ad oggi, con il nuovo settimo capitolo.
Era il 2002 quando Hollywood vide, in Resident Evil, un prodotto facilmente sviluppabile al cinema e ne ebbe ragione. Affidando la regia al britannico Paul W.S. Anderson, abbiamo potuto vedere per parecchi anni ben sei capitoli di questo action-horror che ha saputo intrattenere gli amanti del cinema di genere.
Quasi in concomitanza con l’uscita del videogame Resident Evil 7, torna al cinema l’ultimo capitolo della saga filmica, il settimo conclusivo film tratto dall’omonimo gioco per console: “Resident Evil: The Final Chapter”. Milla Jovovich riveste i panni di Alice, l’eroina senza memoria che deve sconfiggere l’Umbrella Corporation, colpevole di aver devastato la razza umana con il Virus T, un’arma chimica capace di far resuscitare e trasformare in zombie assetati di sangue chiunque muoia. In questo capitolo del franchising, Alice si risveglia in una surreale e devastata Washington, richiamata dalla Regina Rossa che stavolta decide di aiutarla realmente a distruggere l’Umbrella. Ma Alice avrà solamente 48 ore prima che i restanti quattromila umani vengano definitivamente annientati.
La collaudata coppia (nel lavoro e nella vita) Anderson-Jovovich funziona molto bene e riesce a dar vita ad un action adrenalinico, frenetico, proprio come lo stile registico. Un vero e proprio videogame trasmesso al cinema, con una struttura narrativa caratterizzata da un susseguirsi di livelli che, poco a poco, portano i protagonisti ad incontrare il quasi imbattibile boss finale. La scelta di questo stile potrà sembrare semplicistica ma non c’è dubbio sul fatto che funzioni alla perfezione: un film a livelli, così come è il videogioco. Il che, alla lunga, può anche irritare lo spettatore che quasi vorrebbe avere un joystick tra le mani. Quasi impossibile trovare punti morti in questo film che, seppur stereotipato (con annessi colpi di scena) per ciò che concerne lo scioglimento dell’intreccio, riesce a ridurre al minimo la differenza tra narrazione cinematografica e narrazione “da videogame”.
Come gran parte di questi film di genere, l’immagine si sostituisce al dialogo, l’impatto visivo supera di gran lunga quello riflessivo. Le lande desolate ed i paesaggi post apocalittici, grazie ad un’ottima CGI, contestualizzano alla perfezione questo frenetico “survival-movie” che non dà un attimo di tregua allo spettatore.
Questo film, così come tutta la saga, non ha pretese eccessive se non l’unica di intrattenere gli appassionati del genere action e del videogame, riuscendoci alla perfezione.