Intervista ad Alessandro Bertolazzi, in nomination per l’Oscar al miglior trucco per Suicide Squad

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In Italia intanto Gabriele Mainetti ha girato il primo vero film di supereroi, che è Lo Chiamavano Jeeg Robot e molti hanno parlato del personaggio dello Zingaro (Luca Marinelli) come del Joker italiano. Come ti è sembrato?
Sono d’accordo e mi è piaciuto molto: è un personaggio al limite. Anzi prendo lo spunto per spiegarti una cosa del mio lavoro (non deve suonare come una critica al film di Mainetti perché non lo è). Ogni volta che io creo un personaggio, lo porto al limite, cioè rischio sempre tantissimo. E’ successo con Suicide Squad, ma succede anche adesso con Bright. Mi piacciono le cose reali, ma voglio arrivarci con metodi surreali, tuttavia fermandomi al confine tra reale e surreale appunto. Perché se superi quel limite, inevitabilmente quello che fai viene percepito come finto ed hai fallito. Si può sempre non rischiare ma questo non è il mio modo di agire. Bisogna saper rischiare, ma tenendo presente che quando è credibile coinvolge di più e fa più paura.

Per quanto riguarda invece il personaggio di Harley Quinn? Com’è stato il processo creativo?
Il personaggio di Harley Quinn (Margot Robbie ndr) è molto ispirata al disegno del cartone animato ed è curioso perché inizialmente il cartone non mi piaceva. Questo mi ha portato a fare un lunghissimo percorso in tondo, concluso quando ho trovato un’immagine che mi ha molto colpito. Salvo poi accorgermi che somigliava molto a quella del cartone animato, ma che al contrario di questo funzionava meglio.
Il motivo per cui poi ho sempre voluto truccare personalmente il main cast di Suicide Squad sta nel fatto che spesso c’è un’evoluzione nel trucco anche durante le riprese. A seconda della scena a volte cambio i colori, oppure aumento le ombre o definisco di più i tratti. C’è una scena di Harley dentro al bar in cui i suoi occhi sono completamente neri, come una bambola folle. Questo perché in quel momento la luce proposta dalla scena mi ha ispirato quel cambio di trucco, direttamente in scena. Ecco perché per me è stato importante truccare il main cast, io con l’aiuto della mia straordinaria assistente Marta Ruggiero e col parrucchiere Giorgio Gregorini, anche lui nominato all’Oscar.

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Quanto è importante la collaborazione con il costumista per un truccatore?
E’ molto secondaria in realtà. So di disilludere molte persone ma, a differenza di quello che accade in altri paesi, come l’Italia, dove il truccatore è gestito dal costumista, all’estero il truccatore è coordinato solo dal regista. Effettivamente a me, in qualità di truccatore, importa poco il vestito del personaggio, mentre è determinante la luce. Perciò io mi relaziono moltissimo col direttore della fotografia. Se realizzo un incarnato brutto, sciupato, malridotto, deve essere illuminato, mentre non mi importa se il personaggio indossa una gonna verde. Il tipo di abbigliamento può interessarmi al massimo per decidere il colore di un rossetto. L’importante è avere presente lo stile con cui è vestito il personaggio, ma spesso si tratta di una cosa che conosco già prima. Adesso che sto lavorando a Bright è più spesso il costumista che viene da me a chiedere come sono truccati i personaggi.

Qual è stato il momento fondamentale per il tuo passaggio ad Hollywood? C’è stato un film che ti ha dato la giusta spinta?
Più che un singolo film credo sia fondamentale avere un curriculum e una credibilità internazionale. Quest’ultima si definisce anche dal momento in cui hai un agente internazionale (Mandi Martin, Milton Agency ndr).
Venendo ai singoli film, ad esempio non è stato fondamentale Angeli e Demoni, che era un flm americano girato a Roma, dove ero presente sì come caporeparto ma solo della parte italiana. Mentre invece è stato più rilevante il mio ruolo in Skyfall e più tardi in Fury. Poi sicuramente importante è stato il mio lavoro con Terrence Malick e con Inarritu.
Con Alejandro Inarritu ho fatto Babel e Biutiful, ma avrei dovuto fare insieme a lui Birdman e Revenant, solo che per motivi diversi la cosa non si è concretizzata. In particolare, nel caso di The Revenant, è stato un incubo. Io ero impegnato sul set di Suicide Squad e Alejandro mi ha stremato per andare a lavorare con lui, ma purtroppo non potevo farlo. Eravamo arrivati ad un punto in cui i produttori erano talmente disperati del fatto che Inarritu continuasse a licenziare truccatori che mi chiedevano se potessi volare durante il week-end in Canada. Mi è dispiaciuto non farlo ovviamente, anche per il tipo di film. E’ estremamente faticoso e difficile lavorare con Alejandro perché è molto esigente e perfezionista, molto esagerato per alcuni versi, usa lo sfinimento delle persone per tirare fuori il massimo, ma mi piace. Ci andrei domani se mi chiamasse per lavorare ancora insieme.

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Tu hai lavorato anche al film di Clint Eastwood su J.Edgar Hoover, direttore dell’FBI, in cui abbiamo visto un Di Caprio molto invecchiato ma tu ti occupavi invece del trucco di Naomi Watts, che cosa pensi del tuo lavoro in quel film?
Avevamo tre attori che dovevano fare ciascuno sette ore di trucco e quindi logicamente eravamo divisi in tre reparti: uno per Leonardo di Caprio, uno per Armie Hammer e un terzo per Naomi Watts. Io mi occupavo appunto di quest’ultima, il cui trucco è stato poi riconosciuto in assoluto come il migliore. Si trattava di trucchi assolutamente prostetici. In quest’occasione ho notato che i miei colleghi americani realizzavano dei trucchi troppo carichi ed estremi. Di Caprio arrivò sul set che nessuno lo riconosceva e questo fu un errore. Il  pubblico si affeziona ad un personaggio ed è scorretto stravolgerlo, a questo punto tanto vale prendere un altro attore. Armie Hammer poi assomigliava troppo ad una candela sciolta. Quando mi sono messo a fare Naomi Watts, l’ho invecchiata, ma insistendo sulla leggerezza, volevo che si riconoscesse, che fosse comunque una bella donna. Una persona anziana non si trucca male solo perché è vecchia, anzi, in quanto tale cerca di truccarsi e pettinarsi al meglio possibile. Clint Eastwood venne a complimentarsi con me per il trucco.

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A proposito del trucco prostetico, e ricollegandomi a Jared Leto che hai truccato di recente in Suicide Squad, che ne pensi del trucco realizzato per lui in Mr.Nobody?
Anche quello l’ho trovato un po’ finto, troppa plastica. E’ un’attitudine prevalentemente americana quella di abusare dei tecnicismi. Si pensa di più a nascondere i bordi, al materiale e alla colla che non all’identità del personaggio. Sono diventati dei nerd degli effetti speciali, ma hanno perso il rapporto artistico col personaggio, ovviamente non sempre ci sono lavori assolutamente straordinari che in Europa ci sogniamo.

Veniamo agli Oscar, ti aspettavi la candidatura?
Onestamente è una cosa talmente grande che non potevo aspettarmela. Però è anche vero che a partire dalla fine delle riprese di Suicide Squad, vedendo il mio lavoro, le persone intorno a me hanno cominciato a vociferare, un po’ sul serio e un po’ per scherzo, riguardo alla candidatura. Poi è arrivato il momento in cui l’Accademy ha chiamato per acquisire la documentazione relativa al mio lavoro e le voci si sono intensificate. Avevo anche paura a pensarci e il momento più impressionante è quando siamo entrati nella shortlist, in cui Suicide Squad è stato selezionato insieme ad altri sette in mezzo a 370 film da tutto il mondo. In un certo senso ha più valore quella piccola lista della nomination vera e propria. Certo poi abbiamo sconfitto anche una concorrenza di qualità nella shortlist, la quale annoverava film come Florence, Deadpool e Ave Cesare.

L’ultima breve domanda, chi vincerà l’Oscar miglior film?
Confesso che non ho ancora visto nessuno dei film candidati, perché ho avuto davvero tantissimo da fare. Ma rimedierò nei prossimi giorni. Adesso ho un piccolo periodo di respiro e dovrò rimanere qua fino alla cerimonia degli Oscar anche perché in mezzo ho anche la nomination al Guild Award, la cui cerimonia sarà il 19. Ne approfitterò per andare un po’ al cinema vederli tutti. Tuttavia qua c’è un gran clamore attorno a La La Land, fin da prima dell’uscita ad Hollywood e la strada sembra spianata.

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A noi della Scimmia non resta che augurare l’in bocca al lupo a Bertolazzi, sperando che un’altra eccellenza italiana all’estero si confermi, vincendo l’Oscar questo 26 febbraio.

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