Siamo nel 2010. In Islanda erutta il vulcano Eyjafjöll paralizzando completamente il traffico aereo nel Nord Europa per oltre 2 settimane. Andiamo avanti di un anno. 2011, dopo oltre 250 giorni di trattative tra i socialisti valloni (appartenenti alla regione della Vallonia) e i nazionalisti fiamminghi (regione delle Fiandre), in Belgio viene ultimata la formazione di governo più lunga della storia. In questo istante nasce l’idea di Un Re allo sbando. “Mettiamo un re belga ad Istanbul, con una catastrofe naturale ed una crisi politica in atto; e poi lanciamolo in un rocambolesco viaggio a piedi verso casa, in incognito, pieno di contrattempi, rese dei conti e anche momenti di gioia” afferma al termine della proiezione la regista Jessica Woodworth che, insieme al co-regista Peter Brosens, si lancia nella realizzazione di una commedia per la prima volta in assoluto, dopo aver raggiunto la notorietà per film drammatici quali Khadak (vincitore del Leone del Futuro 2006), Altiplano (Settimana della critica a Cannes 2009) e The Fifth Season (in concorso al Festival di Venezia 2012).
Ma come riuscire a raccontare una storia simile? Il Palazzo Reale belga affida ad un inglese, Duncan Lloyd (un tormentato, dall’alcool e dai fantasmi, ex corrispondente di guerra divenuto poi paparazzo), il compito di donare nuovo splendore all’ormai sbiadita immagine del re Nicolas III e di tutta la monarchia. Il Re, il quale appare immediatamente come un’anima solitaria che ha la netta sensazione di vivere una vita non sua, è infatti ripetutamente deriso dalla stampa nazionale che lo etichetta come un semplice burattino che passa le sue giornate trascinandosi passivamente tra i doveri di protocollo che gli sono imposti ed incontri istituzionali nei quali è tenuto in disparte. Riuscirà il documentario a risollevare la sua immagine?