Trainspotting 2 (stasera alle 21.20 su Canale 8) è prima di tutto il sequel di un cult generazionale, e per questo innegabilmente un’operazione commerciale. Non che questo sia necessariamente qualcosa di negativo, ma andiamo con ordine.
La storia è basata sul romanzo “Porno” di Irvine Welsh, ed è la naturale continuazione del primo film a distanza di 20 anni dall’ultima volta. Ciò nonostante, per stessa ammissione del regista Danny Boyle, il romanzo di Welsh è stato drasticamente modificato per essere adattato alla versione cinematografica. Ritroviamo quindi i 4 personaggi principali, ognuno alle prese con vecchi e nuovi problemi da affrontare.
Mark Renton torna a Edimburgo a distanza di 20 anni, dopo essersi fatto una vita ad Amsterdam con i soldi rubati ai suoi migliori amici, Sick Boy è un cocainomane che vive di espedienti e si divide tra la gestione del pub della zia ed improbabili estorsioni, Begbie sta ancora scontando la pena in carcere per omicidio, e Spud… beh Spud è il solito tossico di sempre. Si aggiunge poi un nuovo personaggio, una ragazza bulgara di nome Veronika che porta avanti una relazione ambigua con Sick Boy, e che avrà un ruolo fondamentale nello sviluppo della trama.
Il film fin da subito chiarisce che i 4 ragazzacci non sono affatto cambiati, sono rimasti esattamente gli stessi bambinoni irresponsabili che erano nel primo film. A differenza di allora però, quando quella sensazione di “invincibilità” tipica della giovinezza ne faceva da padrona, ora i 4 protagonisti devono fare i conti con le conseguenze dei loro comportamenti sconsiderati. Soprattutto in considerazione del fatto che i loro personaggi sono ulteriormente estremizzati rispetto a 20 anni fa, con un risultato quasi caricaturale.
È sostanzialmente la storia di quattro falliti di mezza età, senza futuro e senza ambizioni particolari se non quella di vivere dignitosamente il resto della propria vita, che si rincontrano e si ritrovano a dover fare i conti con vecchi rancori mai sopiti e con la consapevolezza che la propria vita ha bisogno di una svolta. Sarà centrale nello sviluppo della storia il tema del tradimento perpetrato da Renton nei confronti dei suoi amici, ma non dirò altro per non scadere nello spoiler.
Rispetto primo capitolo questo film ha un aspetto decisamente più giocoso, si assiste spesso a situazioni poco realistiche e spudoratamente paradossali. Lungo tutto il corso del film sono infatti disseminate a più riprese diverse gag comiche che risultano molto divertenti ed azzeccate. Non che non ci fossero scene simili anche in Trainspotting, ma in questo caso il grottesco lascia spazio al puro divertissement.
Siamo di fronte ad un film particolarmente nostalgico, forse anche troppo, che richiama e rievoca in più occasioni il primo film. D’altronde il tema fondamentale e ricorrente del film è lo stretto legame tra memoria e passato. In tale proposito il regista ha inserito numerosi flashback che mostrano sprazzi della giovinezza dei protagonisti, così come scene e location citazionistiche delle sequenze cult del primo capitolo, ma più in generale è tutto il film ad essere orientato verso una auto-celebrazione del mito del 1996.
Boyle ha dichiarato che la sua intenzione era quella di produrre un sequel che “comunicasse” con il primo capitolo, ma il risultato finale sembra essere più un film che per certi versi scimmiotta il primo Trainspotting, riprendendone gli aspetti più riusciti senza tuttavia possedere la stessa efficacia comunicativa. Boyle era certo di non poter replicare lo stesso spirito esuberante e rivoluzionario del primo capitolo e per questo ha optato per un film più riflessivo, che compatisce nostalgicamente le sorti dei quattro personaggi.
Il comparto musicale è una delle note più positive del film, in questo caso Boyle conferma il suo ottimo gusto in fatto di musica scegliendo brani coinvolgenti che catapultano lo spettatore nella frenesia della narrazione, che procede a ritmo incalzante per tutta la durata del film. Non a caso il regista ha rivelato che la sua più grande aspirazione nella vita sarebbe stata quella di fare il musicista. Anche qui, sono inseriti a più riprese accenni della soundtrack originale nei momenti più evocativi del film, con un risultato suggestivo.
Il montaggio, curato da Jon Harris, rimanda molto ad un’estetica da videoclip, riprendendo anche in questo caso quello stile da “generazione MTV” che aveva catturato milioni di spettatori nel lontano 1996.
Complessivamente si tratta quindi di un film gradevole, che gioca molto con le emozioni dello spettatore e che alimenta a più riprese focolai nostaglici dei bei tempi andati. D’altronte Danny Boyle è sicuramente un ottimo mestierante, che sa adattarsi alle diverse contingenze alle quali viene messo di fronte, e qui gli era richiesto di dirigere un film appetibile per la maggior parte delle persone.
Nonostante questo si ha un po’ la sensazione di star assistendo ad una recita scolastica interpretata da adulti, con alcuni personaggi, penso soprattutto a Spud, ridotti a tristi parodie di se stessi. C’è comunque la consapevolezza che si sarebbe potuto osare decisamente di più, dal momento che il film non ha una vera identità propria, e rimane inevitabilmente legato al malinconico ricordo del primo capitolo.
Danny Boyle ha voluto seguire la strada più sicura del sequel nostalgico e rievocativo, riuscendo tuttavia a tirar fuori un buon prodotto ma rinunciando a priori di replicare, seppur in parte, il successo del primo film.