Pellicola del 1980 diretta da David Lynch, tratta la storia del così soprannominato uomo elefante Joseph Merrick (John Hurt), vissuto in età vittoriana in Inghilterra.
Uomo deforme affetto dalla Sindrome di Proteo, egli è condannato a prestare servigio presso il teatrino del signor Bytes (Freddie Jones), uomo crudele che lo tratta come un animale. Joseph ha, infatti, varie deformazioni lungo tutto il corpo che fanno inorridire la gente alla sola vista. Nonostante abbia varie protuberanze, soprattutto sul viso, e sia zoppo, questo non gli preclude la lettura e la facoltà di parlare, vedere ed intendere.
Viene scoperto dal chirurgo Frederick Treves (Anthony Hopkins) che, incuriosito, decide di presentarlo ai suoi colleghi medici come caso esemplare. Il medico, di buon animo, scopre in Merrick una persona gentile, emotivamente sensibile e capace di piccoli virtuosismi artistici. L’ospedale presso cui è ospite lo prende in affetto e decide di curarlo con il massimo delle proprie capacità. Il caso dell’ uomo elefante fa eco e raggiunge anche la ricca borghesia inglese.
È così che inizia un susseguirsi di visite per Joseph, tra cui la signora Kendall (Anne Bancroft), famosa attrice teatrale. Egli diventa però ancora una volta oggetto di scherno, poiché per i borghesi ormai andare a visitare John in ospedale è diventata una vera moda. Treves si rende quindi conto di aver sbagliato, come se avesse trasferito Joseph da un teatro all’altro. L’ospedale riceve buone notizie: l’uomo elefante è ormai così famoso che la sua fama è arrivata fino alla corte reale e la Regina Vittoria decide di finanziare i fondi per Joseph. Tuttavia una notte Merrick viene rapito da Bytes, che lo riporta alla sua vecchia vita. Tra un teatrino e l’altro in giro per il Vecchio Continente Joseph soffre sempre di più. Viene però fortunatamente aiutato dalla compagnia teatrale che lo libera dalla gabbia in cui era stato rinchiuso e lo aiuta a ritornare in Inghilterra.
Riesce, tra varie peripezie, a raggiungere l’ospedale e Frederick Treves, e a ristabilirsi nella sua stanza. Partecipa come spettatore protagonista a un’opera teatrale dove recita l’ormai amica signora Kendall, si emoziona e a fine spettacolo viene applaudito ed acclamato da tutti. Una volta tornato in ospedale, sentendosi ormai felice, amato da delle persone che ritiene di poter chiamare amici, e volendosi sentire per una volta un essere umano a tutti gli effetti dormendo su di un letto senza rialzo, toglie i cuscini che gli rendevano possibile la respirazione e pone così fine alla sua breve vita.
Il film sa coinvolgere lo spettatore, la storia commuove e forse addirittura impietosisce, lasciando però trasparire quanto di più meraviglioso c’è nella natura umana: la bontà. Proprio riguardo a questo tema viene evidenziato in modo sottile e peculiare il perbenismo dell’alta borghesia – ad eccezione di Treves-, che vuole sempre apparire positivamente senza sforzarsi o veramente scendere dal proprio piedistallo. A ciò si contrappone l’umanità del popolo, infatti sia il bambino che la sua compagnia teatrale lo aiutano a fuggire.
La pellicola ricevette ben 8 nomination agli Oscar, tuttavia senza vincerne alcuno. È il secondo progetto del regista statunitense, e forse sembra essere quello che più si discosta dal resto della sua filmografia. A soli trent’anni gli venne affidato questo notevole progetto e riguardo a ciò egli dichiara “ero davvero intimorito…ma a loro puoi dire cosa fare, perché sono tutti dei grandi professionisti” (riferendosi agli attori ed ai membri del cast). Qui infatti il regista surrealista si attiene molto alla trama prestabilita, senza variare con excursus psicologici. In questo film, diversamente da quelli che verranno dopo, il regista concede poco spazio ai suoi virtuosismi registici. Viene lasciato da parte l’amore di Lynch per le luci, per il teatro, per l’analisi dell’inconscio e ci si sofferma quasi esclusivamente sulla vita di questo uomo sfortunato. Si notano tuttavia dei tratti Lynchiani caratteristici, molto affini al precedente Eraserhead. I fumi, il lavoro in fabbrica meccanico e ripetitivo, le scene buie e introspettive accompagnate da suoni a dir poco dissonanti (il sound design venne curato direttamente dal regista).
Ci si può chiedere come mai la pellicola sia stata girata in bianco e nero. La decisione fu di Lynch stesso, per cui ciò che contava davvero era lo stile, lo stile più appropriato all’epoca e l’atmosfera che doveva essere rappresentata.
“Siccome quella era davvero l’alba dell’era fotografica, credo veramente che un pubblico che veda un film vittoriano con la fotografia in bianco e nero la accetti inconsciamente come l’atmosfera originale”.
Da questo deriva una maggiore cura di luci e ombre, che diventavano protagoniste scenografiche in una pellicola senza colori. Bisogna differenziare superfici lucide e opache, dense e rarefatte; per Lynch è molto più creativo lavorare con il bianco ed il nero.
John Hurt, per questo ruolo recitato alla perfezione, era obbligato a sottoporsi ogni giorno di ripresa a sette ore di trucco. Di lui Lynch parla con grande affetto, ricordandolo come un “vero attore e non un divo, che entra nel ruolo con una profondità quasi magica”. (da David Lynch – Perdersi è meraviglioso). Anche Anthony Hopkins non è da meno, spiccano le sue capacità recitative e la sua abilità nel trasmettere il pathos del momento.
Il film nel complesso lascia un forte segno al termine della visione, sia per il peso della storia sia per la costruzione stessa del film.
Sicuramente una pietra miliare per i cinefili accaniti.