Torna al cinema il capolavoro di Dario Argento, quel Suspiria che segnò definitivamente il suo passaggio all’horror puro. Infatti, dopo la cosiddetta “trilogia degli animali” (L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio), nel 1975 Profondo rosso aveva portato il regista romano a spingere sull’acceleratore del piano visivo, tanto che rimane difficile non tenere in considerazione quanto, in quel celebre cult, la suspance della classica struttura whodunit che aveva caratterizzato i suoi precedenti lavori, non lasci spesso il posto ad un vero e proprio terrore alimentato dalla particolare efferatezza degli omicidi mostrati sullo schermo e dalla peculiare rilevanza della dimensione uditivo-sonora, tale da rendere decisamente inglobante l’esperienza spettatoriale. Se è però vero ciò che dice Brian Yuzna (uno che in questo campo sa decisamente il fatto suo), ovvero che un film, per essere definito horror, non può prescindere da un elemento fantastico/soprannaturale cardine (non più dunque meramente accessorio come l’ingrediente para-psicologico della medium di Profondo rosso), allora è anche vero che il battesimo di fuoco nel genere per Argento arriva proprio nel 1977, l’anno di Suspiria.
Suspiria – L’horror argentiano compie 40 anni
Ebbene sì, sono passati 40 anni dall’esordio nelle sale di questa creatura mitica, dal fascino antico e mai perduto di chi sa ancora rapire occhi, orecchie e anime. Rivederla oggi è ciò che di meglio si possa fare per augurarle l’immortalità che merita e che, probabilmente, si è già assicurata riuscendo a dar vita sullo schermo alle nostre più ancestrali paure. Chi non si è mai domandato infatti, almeno una volta nella vita, se le nostre insegnanti, così flemmatiche e autoritarie, non fossero davvero delle streghe?
Nell’incipit è la voce narrante dello stesso Argento ad introdurre, quasi meta-testualmente, spazio, tempo e personaggio:
”Suzy Benner decise di perfezionare i suoi studi di balletto nella più famosa scuola europea di danza. Scelse la celebre accademia di Friburgo. Partì un giorno alle nove di mattina dall’aeroporto di New York e giunse in Germania alle 22.45 ora locale…”
…ma è la colonna sonora dei Goblin, il cui sodalizio col regista era iniziato nel migliore dei modi con il celeberrimo tema di Profondo rosso, a trasportarci direttamente in un’altra dimensione, facendoci capire fin da subito quanto il piano della realtà ordinaria stia per essere sconvolto; indimenticabile carillon demoniaco dagli ossessivi sospiri, fiato di un killer invisibile sul collo della spacciata vittima di turno, la soundtrack costituisce un vero e proprio personaggio autonomo all’interno della storia.
Analogamente, anche i luoghi protagonisti del film sembrano vivere di vita propria: il bosco irreale in cui si muove, disperata, la prima vittima delle streghe; la piazza deserta dove il pianista cieco verrà assalito dal suo stesso cane; la scuola di danza color rosso pastello, stanze e segreti annessi. Come dimostrano dunque le scenografie e le scelte di illuminazione fotografiche giostrate dall’ottimo Luciano Tovoli, Argento sembra aver ben appreso la lezione di Bava, nella miglior tradizione dell’horror gotico all’italiana in cui l’uso espressivo dei colori primari la fa da padrone e la trasfigurazione di certi elementi sa rendere ancora più efficaci sotto-testi più o meno nascosti (tra tutti la sproporzione tra le porte e i pomelli dell’edificio scolastico in relazione alle fanciullesche e minute ballerine per accentuare la dimensione fiabesca del tutto).
Come in Profondo rosso, ancora una volta le scene degli omicidi vengono portate alle loro estreme conseguenze: la crudeltà nel mostrare, al culmine della suspance, corpi trafitti, budella che fuoriescono e gole tagliate nei minimi dettagli prolunga un orrore che pare, come il corridoio che porterà Suzy al cospetto di Mater Suspiriorum, un incubo senza fine.
Vetta mai più raggiunta del cinema argentiano, Suspiria bissò il grande successo del film precedente e affermò il regista tra i grandi maestri del genere a livello internazionale. Se con Inferno però, ideale sequel, Argento riuscì a ricreare atmosfere gotiche penetranti (grazie anche all’apporto dello stesso Bava agli effetti visivi) pur rinunciando ad una logica e coerente unità narrativa, il resto della sua filmografia è caratterizzato, con alterni rimbalzi e ritorni dall’horror al thriller e viceversa, da promesse non mantenute (meglio stendere un velo pietoso su La terza madre, terzo capitolo della trilogia) e veri e propri guilty pleasures, almeno per il sottoscritto (Tenebrae, Phenomena, Nonhosonno).
Nell’impossibilità di poter aggiungere altro rispetto a quanto in quarant’anni sia mai stato detto o scritto riguardo a Suspiria, in altro modo non posso concludere se non con l’augurio che chi non l’abbia ancora visto possa avere la fortuna di apprezzarlo sul grande schermo, in un meritatissimo restauro in 4k, e che chi l’avesse già apprezzato in passato possa soddisfare al meglio il desiderio di tornare a vivere, come in un sogno ma dai contorni di un incubo, l’esperienza che fu.