The Babadook è un film horror del 2014, opera prima scritta e diretta dall’australiana Jennifer Kent ed è uno dei migliori esempi del genere degli ultimi tre anni.
La scimmia ricorda… The Babadook
Il film racconta del processo di elaborazione del lutto da parte di una madre e suo figlio, il cui padre è morto in un incidente stradale proprio durante la corsa in macchina per arrivare in ospedale e darlo alla luce sette anni prima. La madre si chiama Amelia ed è interpretata da Essie Davis, attrice poco conosciuta, piú celebre in patria, ma che nella scena internazionale ha sempre ricoperto ruoli di secondo piano. Amelia è una donna stanca e il figlio Samuel (Noah Wieseman) ha difficoltà comportamentali ed è incapace di inserirsi a scuola. Nella prima parte del film la Kent pone le basi per lo sviluppo psicologico dei personaggi e lo fa con una cura maniacale per i dettagli. Le personalità di Samuel e Amelia, che a tutti gli effetti sono gli unici due personaggi del film per quasi tutta la durata, sono complesse e non stereotipate. Nessuno dei due e nessuno dei loro atteggiamenti viene banalmente ridotto a buono o cattivo, a giusto o sbagliato: sono anzi due persone drammaticamente umane e, come tali, le loro azioni e pensieri sfuggono la ricollocazione in perimetri limitati di giudizio, vivono con i propri conflitti interiori che l’emarginazione acuisce e trasforma facendone la polpa horror del film.
In Babadook c’è l’uomo nero, nelle vesti di un pupazzo tutto nero con tuba, mantello e lunghi artigli. Compare in uno strano libro nelle prime scene e tormenterà il piccolo Samuel, conducendolo a manie di persecuzione e allucinazioni orrorifiche. Ma il vero Babadook si annida nei conflitti irrisolti del bambino e di sua madre, incapaci di gestire un lutto, che in un momento di debolezza, fatica e massimo isolamento, sfugge al controllo emozionale di entrambi. I personaggi di contorno, le cui presenze sono sgradevoli e sfuggevoli (agente di polizia, preside, zia, incaricati dei servizi sociali), sottolineano la solitudine dei due protagonisti, mentre sono essi stessi a rifiutare l’aiuto di un gentile collega di lavoro o dell’adorabile vecchina della porta accanto (in questo senso il capovolgimento di questi atteggiamenti cui si assiste nel finale è assolutamente esplicativo del pensiero della Kent).
Chiusi nelle quattro mura casalinghe il germe della sofferenza si trasforma in paura e poi in follia, ed è qui che Babadook diventa un brillante ed efficace manifesto del cinema horror. Con un’armoniosa carrellata di quelli che possono sembrare cliché strappati a questa o a quell’altra pellicola, la Kent fa propri i mezzi di horror di molti sottogeneri diversi (ghost movie, paranormale, il killer psicopatico, home invasion, uomo nero, esorcismi, allucinazioni). Facendo a meno di usare grossi jumpscare e senza essere minimamente ripetitivo il film riunisce in una perfetta miscela questi ingredienti e raggiunge livelli di tensione palpabili, frutto anche di un’interpretazione pazzesca dei due attori principali (che già avevano lavorato insieme in teatro) e di una colonna sonora minimale semplicemente perfetta. Il tutto correlato da atmosfere dark che gioca con le poche luci in maniera elegante e una fotografia simmetrica affidata per lo più ad inquadrature statiche, pressanti e claustrofobiche.
Qualcuno stroncherà o avrà stroncato il finale, ma, seppur a dir poco non ortodosso, è la parafrasi perfetta di come si superano le paure e i cattivi ricordi. È metafora magnifica della vittoria della vita sulla morte.
Babadook è un film diverso, è un horror di qualità rara, che abbina un messaggio complesso ad una rappresentazione altrettanto complessa e al contempo semplice, tale da poter appassionare e intrattenere, ma sufficiente per potervi riflettere sopra a distanza di tempo, magari dopo una seconda e una terza visione. Il film della Kent chiede di essere rivisto, per poter notare dettagli, come un fastidioso mal di denti o le parole di un prestigiatore, che legittimeranno il valore della pellicola, palesando che in Babadook di casuale non c’è assolutamente niente.
A coronamento degli elogi che merita la regista vale la pena ricordare le sue parole in merito ad un eventuale sequel del suo, ripetiamo, primo lavoro: “non autorizzerò mai alcun sequel, perché non è quel tipo di film. Non importa quanto mi offriranno, semplicemente non accadrà”. Ne siamo felici e aspettiamo invece con ansia la sua prossima opera, The Nightingale, in uscita nel 2017 che, parole sue, “non sarà un horror ma sarà ambientata in un mondo sicuramente terribile” e cioè quello coloniale dell’Australia della prima metà del 1800.