Captain Fantastic, il nuovo film di Matt Ross: quando ci si adatta ma non si cambia

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Il mito dell’eremita sembra non voler abbandonare le sale. L’ultima grande esperienza cinematografica che ha visto l’uomo moderno come un tutt’uno con il selvaggio risale al 2014, con una Reese Witherspoon candidata all’Oscar per Wild di Jean-Marc Vallée. Ma questo nuovo film di Matt Ross, Captain Fantastic, che potrebbe anche esser visto come un piccolo esordio sul grande schermo (prima di questo solo 28 Hotel Rooms), sembra cambiare le carte in tavola e offrire allo spettatore un nuovo spunto di riflessione sulla tematica. Perché l’uomo non ricerca la natura, ma ci vive, e nel momento in cui le necessità lo impongono, sarà l’uomo stesso a doversi adattare al regime della società.

Viggo Mortensen interpeta Ben Cash, padre che vive assieme ai suoi sei figli nei boschi della costa nord-occidentale degli Stati Uniti. Il suo è anticonformismo allo stato puro: la famiglia non ha rapporti con la società consumistica e vive di ciò che la natura ha da offrirle, cacciando, coltivando e scambiando piccoli prodotti d’artigianato. La moglie, Leslie, è lontana dalla famiglia per curare il proprio disturbo bipolare, che necessita cure mediche costanti. Nel momento in cui Leslie si suicida, la famiglia vede la propria vita stravolgersi. Ben si vede costretto a suo malgrado ad interrompere il proprio stile di vita ed intraprendere un lungo viaggio verso il Nuovo Messico, per assistere al funerale della moglie, nonostante l’opposizione del padre della donna. Ed è così che, in questa avventura che ha dello straordinario, un gruppo di semplici ragazzi cresciuti all’insegna di valori sani, si ritrova a doversi confrontare con la vita di tutti i giorni; che non è più lettura, caccia, allenamento e svago, ma smartphone, videogame e violenza.

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Il film è stato apprezzato al Festival di Cannes 2016, dove ha ricevuto il premio per la miglior regia nella categoria Un Certain Regard. Di fatto, non si può negare la bravura di un regista ancora alle prime armi e forse non del tutto affermato, ma che con questo piccolo gioiello sembra gridare ad alta voce: “Io, sul mondo di oggi, qualcosa da dire ce l’ho”. Egli stesso ha affermato di aver preso spunto nella stesura della sceneggiatura da un piccolo litigio con la moglie riguardo all’educazione da impartire ai figli. Quanto deve essere presente un padre all’interno della loro vita? Che ruolo gioca nei loro confronti? Il rapporto uomo-natura diventa dunque solo il presupposto per creare una storia capace di inoltrarsi nel rapporto che in primis viene riconosciuto fra i più complessi da mantenere, quello fra padre e figlio.

La figura paterna viene magistralmente interpretata da Viggo Mortensen, che dopo performance quali A History of Violence e La promessa dell’assassino, “depone le armi” e si dedica ad una parte non meno impegnativa, ma sicuramente più di buon cuore. E che, in certi momenti, rischia anche di commuovere gli spettatori dalla lacrima facile. Perché per quanto un padre possa essere testardo, fiero di se stesso ed orgoglioso delle proprie idee, di fronte alle necessità dei propri figli, sangue del suo sangue, non porta rancore. Straordinario è anche George Mackay, che nel film è il figlio maggiore Bodevan, in grado di mostrare quella sottile, ma pur sempre presente, sfida contro Ben. Lo fa nel rapportarsi con gli altri, nell’adattarsi alla nuova e mai vista società, nell’innamorarsi di una sconosciuta e nel voler vivere la propria vita in maniera diversa, ora che ha finalmente fatto esperienza del mondo.

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Elemento fondamentale all’interno della storia, che gioca un punto a favore non solo della regia ma anche della sceneggiatura in sé, è il silenzio. Più volte, nel corso della vicenda, l’autore dimostra di aver usato sapientemente le pause, o più semplicemente, l’assenza di dialogo, per dare vita ad un’atmosfera completamente immersa nel verde selvaggio. È la natura che fa da padrona con la sua sinfonia di suoni e rumori, che rende superficiale la parola dell’uomo e proietta chi guarda (e chi ascolta) nell’intensità dell’azione, nel dramma della scena.

La pellicola ricorre spesso all’ironia, forse appena scontata in certi punti, ma si comprende la necessità di utilizzarla nel momento in cui si porta sullo schermo un tema così importante e articolato. E lo si comprende ancora di più pensando al semplice, ma fortissimo messaggio che porta con sé, la differenza fra il cambiamento e l’adattamento. Di persone che hanno cambiato radicalmente la propria vita ce ne sono state, dimostrando di essere uomini di valore (ce lo ricorda Sean Penn con Into the Wild). Ma chi veramente ama se stesso e gli altri è in grado di adattarsi ad un nuovo vivere senza perdere quelle vecchie abitudini che tanto lo hanno cresciuto, educato e maturato in quanto uomo. Per questo motivo, e per altri che voi stessi giudicherete, Captain Fantastic è un film alternativo, che è stato capace di adattarsi ad un pubblico (cinefilo e non) sempre alla ricerca di un qualcosa di nuovo.