Ci sono film in cui gli effetti speciali soverchiano la loro natura ornamentale per divenire un vero e proprio motore estetico e narrativo:
come Matrix (Matrix, Matrix Reloaded, Matrix Revolutions), la trilogia dei fratelli Wachowski che si avvale dell’azione a discapito dell’introiezione, ovvero ne enfatizza i suoi aspetti strutturali come intreccio, momenti clou, snodi e scioglimenti a discapito della logica della psicologia dei personaggi, dei dettagli dei luoghi etc.
Ispirato ai fumetti di stampo cyberpunk e dall’animazione giapponese, in particolar modo ad Akira di Katsuhiro Otomo e Ghost in the Shell di Mamoru Oshii, Matrix diviene l’apologia di un’egemonia dell’iperreale sul visibile.
La storia è ambientata in un futuro distopico in cui gli uomini sono stati assoggettati dalle Macchine che offrono loro esperienze virtuali tenendoli tutti in uno stato di coma perenne così da usufruire della loro energia vitale. Esiste però una piccola fazione di insorti capeggiata da Morpheus che muove battaglia per il (ritorno del) dominio umano.
Vi sono due piani spazio-temporali, il primo corrisponde alla mera realtà : dove gli uomini giacciono inermi dentro vasche piene di liquido amniotico; il secondo al mondo creato da Matrix: quindi le suddette esperienze virtuali degli uomini in realtà intrappolati inconsapevolmente in una specie di limbo, dando appunto l’idea di apparente Realtà . Morpheus individua Neo, un semplice programmatore di software, come Eletto, ovvero Colui che secondo la Profezia porterà gli uomini alla riconquista della Verità .
Una verità veicolata dalla percezione ed impressione. Cosa accade se dubitassimo di tutto ciò che ci circonda? L’impressione perderebbe di sicurezza: impartire ed aprire gli occhi è ciò che serve a Neo e agli insorti per sconfiggere la Matrice (Matrix), che altro non è che una piattaforma di programmi atti a sorreggersi l’un l’altro per coesistere in eterno.
“Matrix è ovunque. È intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai a lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità ”
Matrix è lo specchio di se stesso: ciò che noi vediamo sullo schermo è chiaramente il risultato di un processo di ore e ore di post produzione atto a non lasciare tracce del medium e quindi del supporto utilizzato per, appunto, dare l’impressione di Realtà . la tecnica che John Gaeta ha collaudato e sperimentato per Matrix è il Bullet-Time Photography (o Bullet–Time effect):
consente di spostare gradualmente il punto di vista in rapporto ai movimenti dei personaggi sulla scena, in questo caso i personaggi appaiono in slow-motion mentre il resto del quadro è a velocità standard. La camera, grazie alla capacità di registrare più di 12.000 fotogrammi al secondo, consente di suddividere l’azione in segmenti continui ma con differente velocità . Vi è poi una doppia fase di ripresa: prima con tecniche analogiche (o tradizionali) successivamente si crea una mappa digitale dove si memorizzano gli stessi identici movimenti di macchina, vengono poste delle camere fisse sul tracciato, esattamente una per ogni fotogramma, ed infine utilizzarle nella fase finale del composing.
Matrix è un perfetto circuito di camere fisse e non: il famosissimo volo di Trinity in Matrix Reloaded con la sequenza della sparatoria aerea è un perfetto assemblaggio tra movimenti di macchina ed animazione grafica. La caduta è realizzata con il Green Screen: una tecnica che consiste nell’utilizzare uno schermo blu, verde (etc), come sfondo per le immagini da utilizzare per il composing: lo sfondo verde verrà poi sostituito e cambiato a seconda del contesto (è molto più probabile che sia l’attore ad esser sovrapposto su scene virtuali e quindi sfondi verdi): la scenografia mostra la strada dall’alto tra due grattacieli, data all’inizio come statica e poi fatta accellerare al momento dello schianto.