Daniele Ciprì e Franco Maresco sono due registi, sceneggiatori, montatori, direttori della fotografia e musicisti italiani. Inizialmente scoperti dalle reti Fininvest, successivamente inseriti da Enrico Ghezzi all’interno del programma televisivo Blob, in onda su Rai3, si presentano come una variante delle teorie del trash del momento, comparendo con i loro sketch grotteschi e crudi. Ma il loro lavoro, sotto una visione di insieme, dimostra di acquistare un’autonomia, una continuità, una forte familiarizzazione con i caratteristici personaggi. Questa continuità apre una finestra verso un mondo artistico, un mondo sub-umano, un mondo a parte, un mondo trascurato, dimenticato, un mondo che risponde solo all’idea di “post”, post-moderno, postatomico, post-storico ma anche meta-storico, un cinema che racconta il dopo in maniera fortemente metaforica. Un cinema che mostra quindi la bassezza, l’imperfezione la miseria, l’incompletezza dell’uomo e il suo degrado, quasi a voler costituire una nuova estetica del brutto, che come una fenice rinasce dalle ceneri di una civiltà arsa. Accostamenti paradossali e comunque sempre estremi stanno costantemente al centro del lavoro dei registi, raccontando come questa condizione disastrata tocchi rovinosamente l’ambiente stesso, nelle cose, nei rapporti tra l’uomo e la società, tra l’uomo e la natura, fino a sfociare nell’immaginazione, seppure delirante, inquietantemente credibile nei confronti del futuro. Ciprì e Maresco propongono una visione alternativa al futuro immaginario, il futuro tecnologico tramandato dalla tradizione, mostrando un mondo consumato e ridotto all’osso. In un ambiente contornato di ruderi, di macerie di resti industriali o urbani, si muovono dei resti che invece sono umani. Uomini che hanno perso la figura ideale dell’uomo rinascimentale, leonardesco.
Ciprì e Maresco iniziano a lavorare insieme nel 1986, producendo una serie di lavori sperimentali per una rete televisiva palermitana, la TVM. Dopo aver lavorato per la Fininvest col programmaIsole Comprese, iniziano a collaborare a Blob e Fuori orario. Cose (mai) viste su Rai3 (1990). Dopo aver partecipato ad Avanzi, iniziano a produrre una serie estrema e provocatoria, che sconvolgerà tutto l’ambiente televisivo italiano: Cinico TV. Questo tipo di televisione è quanto di più cinematografico si possa vedere. La cinquantina di puntate prodotte sono composte da quadretti in bianco e nero girati in video che hanno per protagonisti dei veri e propri freaks. In Cinico TV vediamo uomini obesi e seminudi, vecchi siciliani che non riescono neanche a parlare, ragazzi afflitti da malattie mentali, smorfie e atteggiamenti che apparentemente non dicono niente di umano e logico, situazioni assurde e deliranti ripetute ossessivamente. Spiccano in questa serie gli attori non professionisti che vi prendono parte, oltre al clima che la pervade, che resta in bilico tra il comico demenziale e l’orrore puro che si prova assistendo ad uno spettacolo osceno, terribile, grottesco. Più probabilmente la vena cinica, intrisa di malinconica comicità, dei due registi prende spunto dall’osservazione desolata della realtà siciliana, trasposta in una caricatura grottesca, una durissima realtà di emarginazione, di inconsapevole sofferenza, di incapacità di reagire propria di chi accetta passivamente ogni condizione, anche la più umiliante, come se fosse un ineluttabile destino. Dopo vari cortometraggi che valgono la collaborazione di diversi grandi del cinema (Martin Scorsese, Samuel Fuller, Amos Gitai).
Dirigono il loro primo lungometraggio: Lo Zio di Brooklyn (1995) e poi i seguenti: Totò che visse due volte (1998), Il ritorno di Cagliostro (2003).
La serie completa di Cinico Tv di Ciprì e Maresco, consente una ampia riflessione su quella che è stata una delle esperienze televisive più clamorose degli anni Novanta. Cinico Tv ha rappresentato la possibilità di costruire con una forma estetica originale e ben definita un universo particolare di derelitti che vivono tra le macerie in una Palermo che non è Palermo, ma un antro infernale dopo-storico, fatto di mafia, di povertà, di privazioni, di mostruosità, simbolo e allegoria di un male indecifrabile su cui ridere amaramente. Il 1992 è stato per l’Italia un anno particolarmente significativo. Strani e inquietanti eventi si affacciarono nella vita pubblica del Pese: l’arresto a febbraio di Mario Chiesa e la scoperta di Tangentopoli; la morte a maggio di Falcone e quella di Borsellino a luglio. E intanto su Rai3, all’interno dello storico programma Blob, fece capolino un mondo in bianco e nero con una Palermo immobile e popolata da figure arcaiche. Il programma consisteva in clip che proponevano interviste condotte dai due registi a personaggi alienati, folli e squallidi sullo sfondo di una Sicilia desolata. Cifra caratteristica è il particolare bianco e nero delle riprese. I soggetti sono tutti rigorosamente di sesso maschile: non vi è posto per la femminilità nello squallore e nella desolazione assoluti. La Palermo di Cinico Tv è una Palermo astratta che hanno voluto allontanare dagli stereotipi, dal suo carattere troppo contraddistinto. Come per i personaggi che da un certo realismo diventano iperrealisti, foggiando una sorta di astrazione, una dimensione metafisica: una metafora dei mali dell’uomo. Hanno cercato di congedare l’appellativo di Palermo come immagine obbligata, di mafia, droga, corruzione e di raccontarla secondo altri criteri: Palermo come ideale luogo d’attesa di un Giudizio universale o fine del mondo, immaginandola in seguito come uno spazio dove tutti sono andati via e sono rimasti sono i nostri personaggi, prigionieri di una bellezza imprigionata. C’è filosofia e tristezza, una comicità grottesca, tragica, come i Siliani: aspri, duri, riservati. Una tristezza mai espressa, esplosa. Una satira dell’umanità, mossa come rivalsa da parte di un’Italia sudista nascosta e colonizzata culturalmente che, all’interno di Blob, ostentava la caducità dei corpi e delle menti senza pudore, contro l’Italia berlusconiana, anti-democratica che promuoveva da sempre un finto perbenismo. Cinico TV è uno specchio al contrario di quello che è la TV che ha avuto la facoltà di portare il cinema, il video, la videoarte nel palinsesto televisivo, sfidando il pubblico di questo, con cui prima o poi bisogna avere a che fare.
“Blob. Serie amata o detestata, capace di muovere accese repulsioni e altrettanto accesi dibattiti intellettuali: sul trash, sull’estetica del brutto, sul postmoderno, il poststorico, la fine dell’umano. Palermo, Italia: un bianco e nero ricercato e carico di nubi confligge con i corpi sbracati, con lo squallore di un universo popolato da personaggi borderline, ovvero oltre ogni limite del visibile ordinario. Era il mondo storto del ciclista Francesco Tirone, del petomane Giuseppe Paviglianiti, del cantante fallito Giovanni Lo Giudice, delle ‘schifezze umane’ Carlo e Pietro Giordano, dell’afasicouomo in mutande Miranda, dell’occhialuto Giuseppe Filangeri… Nel degrado urbano e umano, in questa terra desolata, in questa smozzicata e cacofonica conversazione in Sicilia, la comicità era il primo gesto critico: “Non urlo o risata fragorosa: urli muti, subito troncati, senza eco, e risate a freddo. Comicità minima e iperbolica” – E. Ghezzi
Franco: “I nostri attori – che non sono nemmeno attori – non hanno alcuna identità sociale, non sono proletari e non sono nemmeno sottoproletari. Li abbiamo scelti, credo, perché hanno un tipo di faccia, un tipo di corpo che li avvicina ad un’idea di cinema che ci piace. È evidente che sono dei ruderi… Certe cose in loro sopravvivono: resiste un linguaggio, resiste un modo di essere. Noi in qualche modo lavoriamo su questa resistenza un po’ come faceva – fatte le debite proporzioni – Beckett. Ecco, la nostra scelta è quella di mostrare la bellezza, la forza di tanta mostruosa ostinazione. Mi rendo conto che, con questo discorso, in qualche modo una denuncia la facciamo: basta guardare gli scenari di ‘Cinico Tv’, il loro degrado… Ed è anche vero che noi, attraverso i nostri personaggi, raccontiamo più le nostre inquietudini che le loro”.Daniele: “Vedi, Cinico TV è la nostra realtà virtuale. Noi raccontiamo quello che vorremmo vivere perché quel degrado è la verità delle cose”.