“Chi sei tu, Lenny?”
“Io sono una contraddizione.
Come dio: uno e trino, trino e uno.
Come la Madonna: vergine e madre.
Come l’uomo: buono e cattivo.”
(The Young Pope, prima puntata)
La notizia dell’intento di Sorrentino di girare una serie con protagonista un giovane Papa ha avuto, come prevedibile, un discreto impatto mediatico. Le opinioni su un’impresa del genere sono dilagate, così come si son diversificate le aspettative. Una fatica nuova e inedita per il regista nostrano, uno sforzo sicuramente ardito: portare sullo schermo la vita vaticana, la stessa esistenza papale, con una matrice di intrighi politici che ammiccano all’americana House of Cards. Con presupposti del genere, il rischio principale era quello di scadere nel profano ingiustificato, di concentrarsi sulla politica e il potere, e trascurare così l’unica componente fondamentale della vita ecclesiastica: la spiritualità. Sorrentino ha affrontato tali rischi con consapevolezza, riuscendo nel complesso a bilanciare le tematiche con l’arguzia che un lavoro del genere necessitava.
Lenny Belardo è orfano.
Ci viene ripetuto all’infinito, con una pedanteria quasi stucchevole, ma in fin dei conti necessaria. Lenny Belardo è, prima di essere papa, orfano. E tale resta il pilastro portante della sua personalità per l’intera stagione, durante il papato spregiudicato che da subito si appresta a condurre. Pio XIII ci viene presentato con un discorso sconvolgente, intento a scardinare le aspettative dello spettatore: il neoeletto papa si mostra in San Pietro e urla di masturbazione, di aborto, di contraccettivi. Così Sorrentino ci spinge nell’acqua, come bambini, conducendoci istantaneamente in una realtà del tutto cinematografica, togliendo allo spettatore l’idealizzazione che può nutrire verso le figure ecclesiastiche, e in primis verso lo stesso discendente di Pietro. Le prime puntate della serie approfondiscono gli eccentrici personaggi principali che circondano il protagonista, personalità irregolari e complesse: suor Mary (Diane Keaton) è la figura materna di Lenny, sua tutrice dall’abbandono dei genitori, una donna coscienziosa che indossa magliette con su scritto “I am a virgin, but this is an old shirt”. Il cardinale Voiello (Silvio Orlando) è un moderno Richelieu, estrema rappresentazione del ramo politico delle interazioni vaticane. Il cardinale Spencer (James Cromwell) è il maestro e la guida spirituale di Lenny, un vecchio saggio dal carattere amaro, intento in primis ad affrontare un crollo psicologico dovuto alla perdita dell’elezione papale in favore del discepolo. Su questi toni si sviluppano tutti i volti che compongono un mosaico di personalità intriganti, fortunatamente mai macchiettistiche.
Pio XIII vuole condurre un papato rivoluzionario, con l’intento principale di restaurare un potere temporale andato definitivamente perso. L’atteggiamento è da subito dispotico e intransigente: fa attendere infinitamente i cardinali, e quando li incontra si veste con sfarzo imperiale, facendosi portare su un trono in processione. L’ultimo a comportarsi analogamente fu proprio Pio XII, da cui Lenny riprende la linea teologica conservatrice. Nelle decisioni ufficiali, il giovane Papa non si lascia mai condizionare da idee estranee, e in particolare da quelle del sottosegretario di stato Voiello, che viene assoggettato imperiosamente a suddito, privato di ogni libertà diplomatica. Tra le prime disposizioni, invece di occuparsi delle omelie e delle interazioni coi colleghi, Lenny ordina il recupero di un triregno con sede a Washington. Possiede un determinato progetto, i cui primi caratteri appaiono chiari da subito: Lenny vuole una Chiesa piccola e potente, e l’apertura alle masse deve fermarsi immediatamente. Infatti, il Papa non deve farsi vedere in pubblico, perché “L’assenza è presenza”. Piuttosto, è necessario stringere le braccia dell’accoglienza cristiana: la fede è una materia pura, e come tale non deve venire avvicinata da chi cerca solo uno sterile perdono. Dati questi toni, le perplessità tra i cardinali – e nel pubblico – aumentano. In particolare, i colloqui con Spencer ci permettono di capire come queste idee estreme abbiano le loro radici nell’animo di Lenny, in un’infanzia stroncata dall’abbandono e nell’intricato rapporto che il protagonista ha sviluppato nei confronti di Dio stesso. Infatti, il papa non crede in Dio. Il papa non crede in Dio?
Sorrentino ha in questo modo scardinato delle realtà canoniche e ci ha definitivamente sbattuti nell’irreale, potendo così scrollarsi di dosso ogni possibile ostacolo di natura etica per potersi concentrare a convogliare una personalità fenomenale, grazie ad una sceneggiatura incalzante e precisa. Lenny è un papa irritante, indisponente, cinico e diabolico. Ma molti dicono sia un santo. Persino che sia Cristo stesso, abbandonato dai propri genitori come il Nazareno fu abbandonato da Dio sulla croce. Senza dubbio, il giovane discendente di Pietro dimostra di possedere la compassione del Cristo, incarnando amore e umanità pura. Si crea così una figura mitica e irrazionale, un Papa profondamente contraddittorio e affascinante, di una spiritualità intensa e inattesa.
Nonostante i cali narrativi avvertibili a metà stagione, le puntate continuano ad approfondire con successo le mentalità dei caratteristici personaggi principali, affrontando tematiche del panorama ecclesiastico e umanitario in modo attento e non superficiale. Jude Law si cala nei panni di un personaggio tanto sfaccettato con grande disinvoltura, accompagnato da altre ottime prove attoriali, tra cui un Silvio Orlando che, malgrado la pronuncia nell’originale e l’auto-doppiaggio nella versione doppiata, ci convoglia con naturalezza una delle personalità più interessanti dell’intera stagione, il sottosegretario di stato Voiello. La fotografia si mantiene sobria e mai invadente, accentuando particolarmente – forse in eccesso – i bianchi, per chiare ragioni simboliche. La sigla è proprio un gioiello: Jude Law cammina trionfalmente di profilo, mentre sul muro a lato scorrono molte tra le più importanti opere di argomento ecclesiastico di sempre, sferzate dalla cometa bruciante del giovane papa, fino a farla cascare sulla figura moderna del Papa benevolo, in una rivisitazione animata della Nona Ora di Cattelan. Infine, la colonna sonora è suggestiva e interessante, in particolare per i pezzi elettronici, cupi e solenni, capaci di dar corpo da soli alla maestosità e al mistero.
Il nostro consiglio è quindi quello di non perdersi una prima stagione di tutto rispetto, girata da un consolidato autore nostrano. In particolare stupisce come Sorrentino sia riuscito, nel più ampio respiro che comporta una serie televisiva, a dosare con attenzione l’estetica visiva che lo contraddistingue, e che più ha determinato le incertezze dei detrattori nei confronti suoi ultimi lavori cinematografici. Inoltre ritroviamo in The Young Pope quell’attenzione nell’approcciarsi a tematiche prettamente italiane, di carattere culturale e politico, che ha costituito grande punto di forza de Il Divo. Speriamo quindi in uno sviluppo della stagione seguente analogamente accurato, che riesca ad arricchire e superare le idee egregiamente espresse in questo primo lavoro.