“Dov’eri tu quand’io ponevo le fondamenta della terra?
mentre gioivano in coro le stelle del mattino
“Dov’eri tu quand’io ponevo le fondamenta della terra?
mentre gioivano in coro le stelle del mattino
e plaudivano tutti i figli di Dio?”
(Giobbe, 38)
Perché proprio un albero, a rappresentare la vita?
Non si tratta delle semplici interconnessioni familiari, l’analogia col grafo ad albero e la vita generazionale umana. L’albero affonda le radici nella terra, e dalla terra si erge a natura, e come natura è funzionale all’animale, all’uomo. C’è una magnifica energia che si conserva nell’immagine classica dell’albero, tanto da raggruppare la percezione naturale e il senso spirituale dell’uomo. Da ciò la vita, nel più vasto significato possibile.
È proprio nella brama di carpire la vastità dell’esistenza stessa che Malick affronta uno tra i più importanti dei suoi progetti. Si parte dalla concezione di una vita terrena e semplice: una famiglia texana negli anni cinquanta, religiosa e socialmente integrata, con due personalità opposte a rappresentarla: una madre dall’animo della Grazia, un padre dall’animo della Natura. Personaggi che, fortunatamente, non scadono nel loro simbolismo e non sono racchiusi in esso. Così però ci vengono presentati, nella celebre introduzione narrata da una dolce e aggraziata Jessica Chastain, che eccelle totalmente nel ruolo della madre e ci incanta con la sua leggiadria, accompagnando un Brad Pitt ben calato nel ruolo del padre – una personalità brusca, colta e decisa, formatasi nella bellezza musicale e nella rigorosità d’azione e ragionamento. Una fiamma vaga, immagine spiritica ed evanescente apre il film, e ne traccia già il percorso, rendendolo paradossalmente da subito criptico al primo spettatore. Ma come il tema che il film vuole rappresentare, anche il suo svolgimento necessita una comprensione complessiva e non parziale, che si schiude nella sua totalità solo e non prima del finale. Infatti, i toni cristiani che paiono imperare la parte iniziale del film hanno l’unica ragione di accompagnare la cultura e la mentalità dei personaggi rappresentati, fungendo solo da preambolo spirituale al senso universalistico che la pellicola vuol arrivare a toccare.
Una volta che noi spettatori abbiamo appreso della morte di R.L. O’Brian, uno dei figli della coppia Pitt – Chastain, la cui perdita parrebbe incrinare fortemente gli equilibri degli animi dei personaggi e della loro esistenza cristiana, Malick ci trasporta senza mediazioni in uno scenario assurdo e spettacolare: una interpretazione visiva ed epocale dell’origine dell’universo e della sua crescita fino all’attualità, accompagnata dalla splendida Lacrimosa di Zbigniew Preisner. Insieme a variegate sequenze cosmogoniche, si susseguono immagini di nature incontaminate, riuscendo a rappresentare appieno la magnificenza con cui per contrasto, da poveri uomini insulsi, ci troviamo a convivere. Si tratta di uno dei passaggi cinematografici più arditi di questi ultimi anni, non tanto per la rappresentazione in sé, quanto per l’impatto che esercita sullo spettatore e l’imperiosità del messaggio convogliato. Le accuse, momentaneamente giustificate, di mero tecnicismo o prolissa dimostratività fotografica scadono una volta che il film procede nella narrazione. Infatti, Malick ci riporta più volte a sbalzare tra l’adulto Jack O’Brien (Sean Penn) e la vita di lui e i fratelli da giovani, anni prima della già citata morte del candido R.L. O’Brian. È qui che vediamo le dinamiche che intercorrono tra i tre ragazzi, affacciati alla prima comprensione del mondo, e i loro genitori, tanto diversi quanto complementari per lo sviluppo dei giovani. L’attenzione viene portata in particolare su Jack e sul suo percorso di assimilazione dei metodi bruschi del padre (Brad Pitt) e dal suo allontanamento da questi, in uno svolgimento in perfetto stile bildungsroman. I rapporti tra Jack e il nucleo familiare, narratici in una sceneggiatura dalle poche imperfezioni, si ripercuotono sulla sua personalità adulta: dopo la morte del fratello Jack decide di trascurare fisicamente e spiritualmente i legami con la propria discendenza, e con i propri ricordi.
A tratti ritornano le immagini del regno naturale e universale, sempre tese a convogliare lo scontro e la creazione, la vastità e l’infinitesimo. E il messaggio comincia a schiudersi progressivamente, man mano che la mente associa gli attriti tra il padre e la madre degli O’Brian con l’infrangersi di onde su un fuoco vulcanico, o affiancare l’immagine del giovane R.L. che arpeggia la sua chitarra con un calmo ruscello nella natura preistorica. I collegamenti simbolici si susseguono a non finire, colmandoci a sazietà la mente con una fotografia coerente ed evocativa: un Lubezki impeccabile.
Così continua la pellicola: prima ci tiene tesi sull’altalenarsi di grandezze opposte, nella dualità espressa nei continui passaggi tra l’universo e la realtà familiare. Quindi la pellicola procede fluidificando le immagini un unico cunicolo denso di significato, spingendo la mente oltre la pura rappresentazione visiva e verso la comprensione intuitiva dell’unico grande viaggio dell’anima dell’universo. Un viaggio che, verso il finale, si materializza nel vagare onirico di Jack (Sean Penn), sublimando in un ambiente etereo e fortemente simbolico. Il personaggio di Penn, guidato dai suoi emblemi esistenziali sulle note dell’Agnus Dei di Berlioz, tra oggetti e personaggi e varchi sulle più disparate lande, giunge infine a una spiaggia eterea, popolata da tutti coloro che hanno contribuito a delineare la sua essenza e personalità. Qui si ha l’incontro col fratello deceduto, la benedizione della madre, la pace col padre e con la propria gioventù. Così l’uomo più semplice, parte del tutto, si esprime come il tutto stesso, riempie lo schermo con la propria imponente esistenza. Egli è quindi Grazia, ed è Natura, come ci era stato detto al principio. E l’unitarietà del tutto è quindi chiara.
Il film è epocale quanto discutibile, proprio per la sua pretesa grandiosità. Divise pubblico e critica, in quel 2011 tanto mirabile per il cinema contemporaneo, ma da subito parve incanalarsi verso la via della grande opera, destinata a essere ricordata come uno tra i più arditi sforzi di un eccellente autore, accompagnato da una troupe assolutamente vincente.