Mulholland Drive – Analisi interpretativa

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Mulholland Drive si mostra fin da subito come un’operazione interpretativa: la composizione narrativa è una mancanza, un’assenza che noi spettatori interpreti dobbiamo mutare in senso. L’esigenza d’interpretazione è parte integrante dell’opera stessa: la necessità di scoprire ciò che è celato inizialmente dalla prima comprensione testuale.

Le due attrici (Naomi Watts e Laura Harring) assumono durante lo svolgimento diegetico due ruoli narrativi differenti, due identità diverse. Svolgono un processo di mutazione di soggettività: noi spettatori possiamo solo presupporre un’ipotesi dello sviluppo degli eventi.

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Questo processo di sdoppiamento dei personaggi, in questo caso femminili di Betty/Diane e di Rita/Camilla ha inizio come un vero e proprio processo di riconoscimento di sè con l’altro (Heinz Kohut e Sigmund Frued ne sono gli antesignani, vedi La Psicologia del sè”).

L’iniziale assenza del nome della donna bruna che sfugge ai gangster e la sua volontà di ricercare una coscienza di sè non è altro che il primo passo di un processo che concerne la dipendenza dell’io dall’esterno e la funzione della costuituzione dell’io grazio allo specchio: la donna ormai arrivata nella casa di Betty vede il manifesto di Gilda (C. Vidor) con Rita Hayworth – la donna comincia a delinare la sua identità grazie ad una figura del Cinema – che è sia il media che il contesto della pellicola lynchana. Una parte del Manifesto è raddoppiato nello stesso specchio in cui la donna si guarda ed è lì che prende coscienza di sè: diventa ciò che osserva – diventa l’Altro.

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Il raddoppiamento della soggettività per quanto riguarda il subconscio non è altro che il prodotto del sogno/desiderio di Diane. L’identificazione di Camilla in Rita quindi non è altro che il rovesciamento della figura dominante. Il disperato bisogno di riconoscersi con l’Altro come il soggetto prevalente (una caratterizzazione tipicamente maschile) e parallelamente anche essere oggetto del desiderio (caratterizzazione prettamente femminile) è ciò che la protagonista confessa durante il suo sogno.

Ritornando invece a ciò che interessa la sfera interpretativa possiamo dire che tutto l’universo di senso si palesa nel segmento finale: la macchina da presa entra in quella scatola blu e ci mostra  un’immagine nera, buia misteriosa: un altro mondo fino ad ora celato agli occhi di chi guarda.

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Il film muta, cambia di senso immediatamente: in quell’istante si innesca un approccio diverso alla comprensione testuale: diventa un film diverso, nuovo, equivoco e parallelo al contempo.

Un vero e proprio passaggio che sottolinea l’ineguagliabile duttilità dell’immagine cinematografica che si mostra come il vero o il falso, come la realtà o il sogno, come il conosciuto o l’ignoto, come il conscio o il subconscio.

Lynch segna il confine dal mondo e dall’altro: sveglia Diane dal lungo sonno e sveglia anche noi, spettatori assortiti dallo stesso subconscio di lei con una frase:

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“Hey pretty girl… Time to wake up”

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Ci avverte. Ci spinge nella direzione del senso. L’insinuarsi dentro la scatoletta non solo ci mostra una realtà diversa del mondo conosciuto ma ci propone anche un’infinità di interpretazioni soggettive poichè la scatola non ha nome, nè identità, nè provenienza. Quella scatola è il cinema stesso, che si plasma a suo piacimento in ciò che in quel momento ha voglia di raccontare, di essere.

Mullholland drive è decorato da un’infinità di prospettive analitiche che non culminano nella sola psicoanalisi.

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La sequenza del Club Silencio non è altro che un’enunciazione, una vera e propria dichiarazione del falso/artificiale: “Silencio… No hay banda” – ci informa che qui non c’è nessuno che suona. Perchè – “It’s all recorded”  – è tutto registrato. L’illusione è il motore della scena in questione. Quasi tutto ciò che viene mostrato non è reale, nemmeno il pianto della cantante: l’unica fessura con il mondo reale sono le lacrime di Betty e Rita che platonicamente sono quelle di noi spettatori che siamo lì, che esistiamo, inermi ad osservare qualcosa che non esiste ma coesiste grazie al cinema.