Fellini e Lynch: due diversi sogni

Federico Fellini e David Lynch non condividono solo il giorno del compleanno ma anche un certo approccio alla settima arte fatto di sogni e realtà oniriche

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Oggi, 20 Gennaio, è il compleanno di due grandi registi che in diverso modo han fatto la storia del cinema. Stiamo parlando del nostrano, amatissimo, compianto Federico Fellini e dell’affascinante, inquietante, americano David Lynch.

Per celebrarli abbiamo deciso di esplorare il loro particolare stile, e la loro indiscutibile bravura, andando a guardare a quel comune aspetto che curiosamente e in diverso modo accomuna le pellicole di entrambi: il sogno.

Tuttavia, e si sa, c’è sogno e sogno. Ci sono i sogni piacevoli, gli incubi, le contorte visioni, i ritrovamenti del passato, gli sguardi sul futuro, i viaggi introspettivi e pure i sogni che non ci si ricorda più. Seppur differenti, tutti questi frammenti concorrono, alla fine, verso un unico obiettivo: la rivelazione.

Rivelazione di verità, di desideri, di altri sogni o di altro sonno. Rivelazione di se stessi, dei propri ricordi, del proprio io nascosto. E pure rivelazioni degli altri, del mondo in cui viviamo e di quello in cui vorremmo vivere. Di questa rivelazione i due registi ne hanno fatto un contorto, personale, controverso ma soprattutto intimo strumento del loro lavoro.

Un ponte onirico tra Fellini e Lynch

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Fellini e il sogno

Fellini apre le porte all’onirico con La dolce vita, dove l’elemento del sogno ancora non è concreto, ma sembra muovere l’atmosfera tutta della pellicola. Qui l’astratto è una semplice, desiderata e mai concessa, fuga dalla realtà. Marcello Rubini (interpretato dal feticcio del regista, Marcello Mastroianni) sembra infatti dondolarsi per le strade di Roma barcamenandosi tra desideri di passione e miracoli mancati, tra fugaci, innocenti, sfuggevoli incontri e pompose feste chic all’insegna, appunto, di una dolce vita priva di qualsivoglia interesse. Il percorso di “rivelazioni oniriche” di Fellini continua poi con uno dei suoi più importanti capolavori e sicuramente film più noti. Ovviamente, 8 e mezzo.
La pellicola trasuda del sogno, rivelando quello che sarà poi un leitmotiv corrente nei lavori del regista: la rincorsa del passato, l’attaccamento a visioni che erano e che ora non sono più, la voglia di tornare bambino, per riabbracciare i genitori perduti o ritrovare le sensazioni di scoperta e gioco da tempo ormai dimenticate. Tutto questo si riverserà in differente modo anche nel successivo Giulietta degli spiriti e nel più ossessivo e convulsivo Fellini Satyricon.

Uno sprazzo sfocato, a volte tenero, a volte terribile e incomprensibile, una non chiara visione di un insieme del tutto chiaro: ecco la manifestazione del sogno nel cinema felliniano. E il risultato a cui il regista arriva è sempre lo stesso, quello da lui più agognato…

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Perdersi fra i ricordi, fuggire dal presente, avvicinarsi alla beatitudine del sonno. Non a caso questa costante ricerca, questa sempre distante rivelazione, si riversa in quello che è definito il capolavoro di Fellini: Amarcord. Il film non ha in sé gli elementi onirici che caratterizzavano i precedenti lavori del regista. È il film stesso ad essere un sogno. Un sogno, che, alla pari degli altri, conduce il suo creatore nel passato da cui proviene, immergendolo dolcemente fra quei ricordi che ormai non gli appartengono più. Amarcord: “mi ricordo“.

Lynch e il sogno

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Diverso è invece l’approccio che Lynch ha con l’elemento onirico. Fin dal suo primo film, Eraserhead, passando per la sua più nota creatura, la serie tv Twin Peaks, fino a raggiungere il suo capolavoro Mulholland Drive e infine il suo ultimo lavoro, Inland Empire, il sogno – o meglio, l’incubo – ha pervaso tutta la produzione del regista.

Un sogno che non cerca di aggrapparsi a se stesso per ritrovare ciò che è perduto, ma che trova in se stesso la risoluzione dei problemi. A detta dello stesso Lynch, da anni un cultore della meditazione trascendentale, il sogno è infatti “accendere la luce in un mondo dove il buio abbonda“. Eppure, guardando le pellicole del regista, si direbbe proprio il contrario.

Come abbiamo accennato, infatti, l’elemento predominante presente nelle fantasiose e fantastiche scene dei suoi film è una visione distorta del sogno: l’incubo. Lynch, così come egli stesso ha recentemente affermato nella sua autobiografia, ha spesso saccheggiato la sua fanciullezza per realizzare le proprie opere, percependola come una miniera di impressioni sensorie, misteri e flash mentali, dove una frase costante gli ritornava alla mente: “Non è così che dovrebbe andare”. Cosa emerge da tutto ciò?Forse che il sogno nel quale il regista fa immergere lo spettatore non è davvero un sogno.

Le violenze che Laura Palmer subisce – sia in Twin Peaks che nel film prequel della serie, Fuoco cammina con me -, le numerose paure che tormentano la vita genitoriale di Henry Spencer in Eraserhead, l’aggressività di Dennis Hopper in Velluto Blu, il passionale odio che muove Naomi Watts in Mulholland Drive, sono quelli i veri incubi della vita.
Ciò che non è così che dovrebbe andare.

Il resto, le visioni, i mostri, i plot twist, le allucinazioni, le distorsioni vocali, i sogni e gli incubi, sono soltanto uno strumento del regista per poter mostrare i reali orrori di questo mondo. Sono quel che egli vive, dentro e fuori di sé, e che con una costante, enorme, potente catarsi d’immagini oniriche vuole mostrare al suo pubblico. Una rivelazione al contrario, che usa se stessa per raggiungere gli altri. È come se, ad ogni astrazione, Lynch parlasse ad ognuno di noi: “Io chiudo gli occhi. Voi apriteli”.

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In tutto questo, inoltre, è molto particolare che entrambi i registi, oltre ad essere vittime e imperatori del sogno, vivano allo stesso modo la figura della donna. Che sia l’amante ritrovata di Fellini o la sua perduta madre, la vittima di abusi o la seducente femme fatale di Lynch, sembra proprio che al sogno di un uomo, a quella rivelazione della vita, sia necessario il sostegno, sempre diverso, sempre bello, spesso doloroso, della donna.
Un dolce stil novo dei giorni nostri, che usa la macchina da presa come penna e l’onirico come inchiostro. Scritto magistralmente da due geni della cinematografia.

In conclusione vi lasciamo con un divertente video proveniente da YouTube, così che possiate farvi una vaga idea, se ancora non ce la aveste, su chi sia David Lynch e su come lavori. Sicuri che almeno questa volta, seppur con una semplice parodia, vi strapperà un sorriso.

(N.d.r: nel lontano 1982, George Lucas chiese a Lynch di girare Il ritorno dello Jedi, ma il regista rifiutò per dedicarsi al suo Dune. Questo è proprio il risultato di un what if
della diversa scelta di Lynch).

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