Silence, la Recensione del film di Martin Scorsese con Adam Driver

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Prendete Martin Scorsese, la sua poetica, il suo stile. Prendete Taxi Driver, Cape Fear ed i più recenti Shutter Island e The Wolf Of Wall Street. Bene, adesso metteteli da parte e fate finta che non siano mai esistiti. Perchè qui, con Silence (stasera alle 21:10 su Rai Movie), Martin Scorsese è cambiato. Non c’è la follia di un ex reduce del Vietnam o di un ex galeotto.

Nemmeno un folle investigatore o uno spudorato broker. Non c’è il Dio Denaro a comandare come un deus ex machina, tantomeno gang di New York o bravi ragazzi della Grande Mela. Non c’è il ritmo frenetico del suo ultimo film con DiCaprio, anzi. Al punto che è lecito scomodare Bresson con il suo Il diario di un curato di campagna ma stavolta, più che in Taxi Driver, l’ispirazione c’è ed è molto presente.

silence scorsese neeson

Silence è un film evocativo, aulico, come se fosse un grande viaggio introspettivo verso il significato della religione nell’uomo. Andrew Garfield sveste i panni di Spider-Man per mettere quelli di Padre Rodrigues, un gesuita in viaggio verso il Giappone insieme a Padre Garupe, un Adam Driver che ripone (momentaneamente) la tunica di Kylo-Ren ed indossa anche lui quella dei gesuiti.

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La terra del Sol Levante sta trattenendo un po’ troppo Padre Ferreira (Liam Neeson), il padre spirituale dei due giovani gesuiti. Non si hanno sue notizie da troppo tempo e l’ultima non sembra delle più incoraggianti: Ferreira si è convertito, rinnegando la sua religione e passando a nuova vita. Sembra impossibile per tutti una notizia del genere. Il Giappone è terra ostile per i cristiani del ‘600.

Perseguitati come criminali, chiunque fosse stato scoperto a professare il cristianesimo, avrebbe dovuto subire atroci torture fino all’abiuro o alla morte. Padre Rodrigues sarà messo a dura prova, fisicamente e non, come un moderno Gesù Cristo, il quale si troverà di fronte ad una scelta importante per lui e per la sua vita futura.

silence scorsese

La tipica crisi religiosa della terza età colpisce anche il regista capace di fare un film ritenuto blasfemo da molti come L’Ultima Tentazione di Cristo, per essere riduttivi. Tratto dall’omonimo romanzo, capolavoro della letteratura contemporanea giapponese, Silence cambia i canoni del film tipo di Scorsese. La sacralità di Ozu, il fango di Kurosawa. Qui il regista esamina il problema della fede di fronte alle sofferenze umane, scava nel dubbio che si pone Rodrigues di fronte alla spietatezza dei giapponesi, mettendo in luce lo scontro (fisico prima e dialettico poi) fra culture. La forte carica simbolica delle immagini è il vero punto di forza del film.

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Il Giappone viene mostrato da paesaggi opprimenti, pieni di insidie dove non esiste un’ipotetica safe-zone. Lo stile di ripresa, asciutto e privo di virtuosismi, viaggia coerentemente in parallelo con la dottrina dei due protagonisti, quella dei gesuiti, famosi per la totale abnegazione del voto di povertà (teoricamente). La totale assenza di una colonna sonora o di una qualsiasi musica rendono il film molto crudo e diretto.

Emblematico che l’unica canzone presente nel film sia un inno cantato da un giapponese in procinto di morte. Magari potrà risultare un po’ troppo prolisso sotto alcuni aspetti e probabilmente i fan puristi di Scorsese potrebbero rimanere delusi. Tuttavia, il regista italo-americano ha diretto un film tanto atipico quanto meraviglioso.

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Lorenzo Pietroletti
Classe '89, laureato al DAMS di Roma e con una passione per tutto ciò che riguardi cinema, letteratura, musica e filosofia che provo a mettere nero su bianco ogni volta che posso. Provo a rendere la critica cinematografica accessibile a tutti, anche al "lattaio dell'Ohio".
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