Il GGG, recensione a bruciapelo

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Al cinema è arrivato Il GGG, titolo originale The BFG, ultima fatica di Steven Spielberg. Chiunque appartenga alla mia generazione è cresciuto con i libri di Roal Dahl e non può ignorare Il GGG: una storia semplice, affascinante, a tratti paurosa, quando lessi il libro da piccolo. Il GGG racconta di un’orfanella, Sophie, la quale viene rapita dal più gentile dei giganti, il GGG appunto, l’unico della sua specie che non mangia i bambini, a differenza di tutti i suoi simili, che portano i più pittoreschi e onomatopeici dei nomi, come il Crocchia Ossa e l’InghiottiCicciaViva. Il GGG oltre che il più buono è anche il più basso dei giganti e viene spesso bullizzato dai suoi compari. La piccola Sophie, dopo aver stretto una sincera amicizia col suo nuovo bizzarro amico, mette in atto un piano che coinvolgerà perfino la Regina di Inghilterra per salvare tutti i bambini dalla minaccia dei giganti e liberare il GGG.

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A scrivere la sceneggiatura ci ha pensato Melissa Mathison, scomparsa prematuramente pochi anni fa, che aveva già lavorato con Spielberg per quel capolavoro che è E.T., film che qualcuno ha accostato al recente Il GGG, proprio per il target a cui entrambi i film sono rivolti e per il rinnovato binomio Spielberg-Mathison. Il duo di attori principale è composto da Ruby Barnhill e Mark Rylance (già scelto per Il ponte delle spie), che interpretano rispettivamente la piccola Sophie e il GGG. La CGI è il migliore alleato di questo film, girato con tecnica mista e la colonna sonora è affidata a John Williams, che si riunisce a Spielberg dopo un film di pausa. A produrre il tutto ci pensa la Disney. Dunque, riassumendo: Spielberg, Dahl, Mathison, Williams, Disney. Ci sono tutti gli ingredienti per un ottimo film, ma personalmente Il GGG, mi ha pesantemente deluso.

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Innanzitutto mi aspettavo un film che potesse rivolgersi anche ai più grandi, che potesse rivolgersi almeno a quei grandi che erano piccoli quando il GGG spopolava tra i banchi di scuola elementare. E invece questo è il primo piccolo grande neo del film. Piccolo perché infondo si tratta di un scelta ben precisa, per certi versi anche inattaccabile, grande perché al giorno d’oggi paga il confronto con le pellicole proposte dalla stessa Disney, dalla Pixar o dallo Studio Ghibli (per citarne alcune), le quali sono spesso in grado di divertire e appassionare spettatori di tutte le età. E’ anche vero che in poche settimane la Disney ha fatto trovare sotto l’albero di Natale tre film: uno per adulti, Rogue One, uno per tutta la famiglia Oceania e questo, che inevitabilmente è un film per bambini. Visto il quadro completo c’è poco da obiettare. Tuttavia obietto perché sono testardo e mi concentro su alcuni dettagli che prescindono il target di pubblico.

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Nelle prime battute della pellicola, una scena perfettamente Spielberghiana ci mostra il gigante che con movenze apparentemente goffe ma incredibilmente efficaci fugge dalla città, mimetizzandosi nel paesaggio urbano con delle trovate davvero geniali. In seguito una corsa emozionante lo porta nel Mondo dei Giganti. A questo punto mi ero illuso che il film potesse mantenere questa qualità di regia e questo ritmo per tutta la sua durata ed invece naufraga poco dopo in un lungo e tedioso dialogo tra la piccola Sophie e il GGG che stanno stringendo amicizia, dialogo talmente lungo, banale e ridondante che non ricordo una singola frase.

Ora devo aprire una parentesi. Non è la prima volta che il libro di Dahl diventa un film, c’è un precedente. Infatti a fine anni ’80 fu fatto un film d’animazione, che non era niente di straordinario o memorabile, ma che aveva colto nel segno nel conferire una vaga atmosfera horror alla storia, concentrandosi sui giganti che mangiavano i bambini e conferendogli un aspetto a dir poco mostruoso. Queste scelte contribuivano a tenere alto il tono del film, a dargli un carattere, quanto meno. Nel film appena uscito invece sembra che siano stati azzerati questi aspetti, riducendo i terribili giganti mangia uomini a dei goffi sciocchi troppo cresciuti e parodia di se stessi, che non sono poi così in grado di far ridere, visto che i momenti di massima ilarità il film li raggiunge con testate nelle parti basse, enormi peti di gas verde e i musetti buffi dei cagnolini della regina. Insomma la tipica comicità che ho evitato per anni risparmiandomi la visione dei cinepanettoni.

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Mark Rylance non se la cava male con l’interpretazione del gigante e la motion capture è davvero bella da vedere, conferendo alla sua performance quel tocco esotico in più, in grado di interessare gli amanti della computer grafica. Non si può dire lo stesso della giovane Barnill, autrice di una prova davvero normale e penalizzata da un doppiaggio da incubo.

L’impressione alla fine è che il GGG voglia prendersi troppo sul serio per le sue potenzialità, accennando qua e là un impegno in tematiche quali il bullismo e il coraggio, tuttavia rivolgendosi ad un pubblico troppo piccolo per afferrare o troppo grande per accontentarsi. Infondo dopo decenni di brillante carriera, può darsi che Spielberg abbia voluto semplicemente togliersi uno sfizio, girando questo film un po’ per sé stesso (lo voleva fare da anni) e un po’ per la Mathison, ma senza il minimo interesse verso il risultato al botteghino (e come dargli torto!).