Cinema estremo: Atroz, la recensione

Per la rubrica sul cinema estremo, la recensione di Atroz di Lex Ortega. Violenza e torture in Messico, un racconto di finzione per denunciare la terribile realtà messicana.

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Utilizzare il gore, l’estremo, come strumento di denuncia sociale. Atroz non ci gira intorno e va dritto al sodo. Scritto e diretto da Lex Ortega, regista messicano che fa della denuncia sociale e dell’estremo la sua poetica, il film si presenta come un film in cui molteplici stili differenti si intrecciano tra di loro convergendo verso un’unica direzione: lo shock.

Ma non un semplice shock fine a sé stesso. Uno shock visivo che vuole solleticare la mente dello spettatore, portandolo a riflettere sul punto focale del film: la violenza in Messico.
Le prime scene del film mostrano il lato del Messico caratterizzato da violenza ed omicidi irrisolti, il tutto accompagnato da una serie di didascalie contenenti numeri e statistiche da brividi. Degrado, sangue e cadaveri sembrano essere all’ordine del giorno.

atroz II

 

 

 

Lex Ortega racconta così il marcio del Messico attraverso una storia di finzione, apparentemente banale. Due ragazzi ubriachi, Goyo e Dax, vengono arrestati dalla polizia per aver investito ed ucciso una donna. Il capo della polizia Juarez, frugando nella loro macchina, trova una telecamera in cui c’è un video registato che mostra una serie di torture e vessazioni che i due ragazzi compiono verso un transessuale. Juarez decide così di andare a fondo ma scoprirà una serie di altri video che lo porteranno a fare una macabra scoperta.

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Il film è senza dubbio uno dei più estremi che il cinema abbia mai partorito. Il paragone con A Serbian Film può venire automatico ma le differenze ci sono e sono (anch’esse) estreme, come ad esempio le modalità in cui viene mostrato l’orrore e la scenggiatura. Difatti, la trama di Atroz, seppur sorretta da buone intepretazioni e dialoghi, potrebbe sembrare quasi un pretesto, uno strumento, funzionale a mostrare il gore nella sua forma più soft. Ma solo perchè non stiamo parlando comunque di ReGOREgitated Sacrifice di Lucifer Valentine.

Le scene di tortura e di umiliazione si mischiano tra loro creando un connubio che porta lo spettatore ad un vero disagio. L’empatia che si prova rispetto ai personaggi cambia di volta in volta, così come è intercambiabile il ruolo di vittima e carnefice. Il boia diventa improvvisamente condannato, la giustizia si fa da sola. La vita non ha alcun valore, che sia per un becero e folle divertimento, che sia per un motivo di giustizia. In questo senso, vige la legge del taglione. Occhio per occhio, violenza per violenza.

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Nonostante alcune imperfezioni stilistiche che tendono ad estraniare un po’ troppo lo spettatore, Atroz riesce senza dubbio nell’intento di creare un’emozione molto forte. Il monologo finale di Juarez è di fatto la spiegazione del film e di cosa vuole denunciare Lex Ortega: il sistema messicano. Un sistema che lascia i serial killer liberi di compiere i loro malaffari indisturbati e per i quali “non vale nemmeno la pallottola per ucciderli“. Lo stile incontra la forma, il significante con il significato. Ciò che viene raccontato si unisce al come viene raccontato. Ed è così che nasce Atroz, nomen omen. Atroce e difficile da mandar giù.